Fino a poco tempo fa pensavo che l'uso tradizionale romagnolo, in cucina, dei vecchi pettini da telaio fosse unico...
Come sapete i
maccheroni sul pettine e questo "attrezzo" mi affascinato in modo inspiegabile: proprio per questo motivo, a più riprese, con l'aiuto dei mie genitori, mi sono messa a "caccia" di qualche pezzo di pettine superstite per poter diffondere e lasciare una traccia più ampia di questa passione e cultura contadina antica.
Ne ho spedito in giro per l'Italia, in Spagna, Francia, America, Giappone ma solo recentemente sono stata contattata da Pina una signora torinese, ma di origine siciliana che mi chiedeva dei pettini per poter fare dei dolcetti tradizionali siciliani tipici del Carnevale.
Glieli ho spediti ma mi sono incuriosita e ho fatto ricerca..
Da questi dolcetti che si chiamano
CUDDRIREDDRI ho scoperto che anche i
CARAGNOLI, in Molise sono dolcetti fatti con il pettine.. ma non sono ancora riuscita a trovare altre info o foto.
Poi parenti stretti dei garganelli sono i
MACCARONI, pasta in brodo delle Marche a forma di "tubetto" rigato.
L'Italia prima della Seconda Guerra mondiale era molto più grande di ora.. le comunicazioni erano più lente ma la base agricola e contadina era comune da Nord a Sud .. una ultima prova che rischia di sparire è proprio l'uso di attrezzi simili nelle differenti cucine regionali o anche solo di paese in paese.
Sarebbe davvero interessante raggruppare altre ricette (legate all'uso del pettine da telaio) della tradizione antica contadina da tutta Italia... prima che spariscano per sempre.
Scrivetemi se conoscete altro. Grazie
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CUDDRIREDDRI
Gli ingredienti
- Farina di frumento;
- Uova;
- Vino rosso;
- Zucchero;
- Cannella;
- Scorza d'arancia;
- Strutto;
- Cottura con olio
A Delia, un piccolo paese in provincia di Caltanissetta, questa parola dal suono rude indica un gustoso dolce, il cui nome risale al greco 'Kollura' che significa 'focaccia' o 'pane biscottato di forma solitamente anulare': si narra che questa particolare e complicata forma, che ricorda una piccola corona, sia nata quale omaggio alle castellane residenti a Delia, durante la guerra dei Vespri siciliani del 1282-1302, nella rocca medievale che sovrasta la cittadina.
altre foto:
Slowfood di Messina
Ecco cosa mi ha scritto Pina, oltre a inviarmi una scatolina dei suoi dolcetti
Luisa, sono contenta nel leggere che le "cuddrireddri" sono piaciuti.
Non ho nessuna difficolta' ha scriverle la storia di questo dolce che a Delia il mio paese di origine, ha un forte radicamento ,tramandato da madre in figlia.
Il segreto di questi dolci sta negli ingredienti genuini e' una lavorazione caratteristica e complessa,fatta appunto con il pettine e un bastoncino un po' piu' grande di quello per fare i garganelli.
La storia narra che la forma a "corona"sia nata per fare omaggio alle castellane che vivevano a Delia durante la guerra dei Vespri Siciliani (1282-1302)nel castello medioevale che ancora sovrasta il paese.
La lavorazione di questo dolce e' un 'impasto di farina, zucchero ,uova, strutto, vino, scorze di arancia e cannella si realizzano tanti rotolini, qui e' la parte piu' difficile perche' richiede una certa manualita' per realizzare la coroncina, i rotolini si avvolgono ad un bastoncino che poi viene sfilato, la spirale di pasta deve ottenere la caratteristica "rigatura " quindi viene appoggiata sul pettine con una leggera pressione a questo punto si uniscono le due estremita' l'ultimo passaggio e' la friggitura in abbondante olio.
La cuddrireddra veniva preparata in casa nel periodo di carnevale, oggi pero' a Delia sono nati dei laboratori e nelle pasticcerie si possono trovare tutto l'anno.
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MACCARONI
Due interessantissime pagine di Loste sul Blog Una colica d'acqua:
foto del Blog una colica d'acqua
Vi riporto l'intera pagina perchè è davvero un capolavoro.
La stanza è fredda. La parte del corpo che ho fuori dalle coperte, sembra congelata. Naso e bocca freddi, e un vago cerchio alla testa, sono i sintomi di una temperatura troppo bassa. I miei fratelli dormono, accanto a me nell'enorme letto di ferro battuto. Dalle persiane socchiuse, filtra la luce grigia del giorno. Scivolo fuori dalle coperte, e saltello, a piedi nudi fino in cucina. Lì la temperatura è quasi tropicale. Mi infilo tra la finestra e la stufa scoppiettante. La grande piastra di ghisa infuocata, i tubi del camino bianco, che sopra la mia testa fanno una stretta curva per uscire da sopra la finestra, riempiono la stanza di caldo. Mi siedo sulla panca che serve a raccoglier la legna, e mi crogiolo a quel calore rassicurante.
I vetri hanno una patina di condensa spessa e pesante. Ogni tanto una goccia scivola dall'alto, un percorso quasi rettilineo. Prima piano quasi incerta, avanza, s'arresta, poi come a seguire un richiamo, fa una leggera curva ad incontrare un altra goccia. Si uniscono si aggregano, aumentano di peso e volume, e alleate nel gioco, partono, veloci verso il basso ora perfettamente diritte. Nella corsa trascinano altre gocce, precipitano giù finendo sul bordo di legno, mangiucchiato dal tempo. Allargano la traiettoria liberandola dalla condensa e lasciando una fessura sottile da cui si intravede il mondo di fuori.
Di fuori mia madre e mia nonna, che puliscono una gallina, ormai morta. Un pentolone di acqua bollente che fuma nel freddo di novembre. Movimenti veloci, la massa di piume bianche che finisce nel pentolone. Una breve immersione per facilitarne la spiumatura.
Sobbalzo. Un ciocco scoppia nella stufa, il crepitio del legno spaccato e attaccato dal fuoco continua. Fuori, quattro mani veloci, stanno spennando l'animale, appoggiato su di un tavolaccio tra orto e giardino. Mia mamma fa il lavoro "di fino" elimina, con fare certosino, le piccole piume più coriacee. Mia nonna sventra la gallina, la apre, infila una mano dentro, elimina parte delle interiora e recupera qualcosa che finisce in un piccolo tegame. Un ultima lavata sotto l'acqua corrente, gli attrezzi: il caldaro, il tavolaccio, coltelli e parananze, finiscono al loro posto. Salto giù dalla panca e mi nascondo dalla parte opposta, tra la credenza e la stufa. Da lì posso tener d'occhio l'ingresso senza farmi vedere, uno scherzetto.
La gallina appare sulla soglia, il collo nudo esce, penzolando, dalla pentola che mia nonna ha in mano. Mi viene incontro l'occhio vitreo fisso che mi guarda, mi passa accanto e si ferma sul tavolo della cucina.
Che ci fai ? Chiedo. Mia nonna sobbalza, lanciando un grido. E tu che fai qua, ancora in pigiama e tutto scalzo? Mi guarda con un piglio di rimprovero. Io osservo la gallina e il mucchietto di fegatini nel piccolo tegame.
Che ci fai con la gallina? Metà la facciamo al forno con qualche salsiccia vicino, con l'altra metà ci facciamo il brodo. Guardo i fegatini, un dito spunta dalla manica troppo lunga del mio pigiama: e questi? Con quelli ci faccio un sughetto. E poi? e poi, facciamo:
I maccaroncini con le battecche
foto del Blog una colica d'acqua
Il procedimento è meno complicato di quanto possa sembrare, ed è illustrato nel post precedente, qui, si fa una sfoglia abbastanza sottile di pasta all'uovo, per quattro persone sono sufficienti due uova intere impastate con 200 gr di farina e un pizzico di sale. Si tira la sfoglia e poi la si taglia alla dimensione di una pappardella. La pasta si avvolge attorno alla battecca e poi la si passa sul pettine da telaio imprimendo la forma dei fili e formando il maccaroncino. La cosa difficile magari è procurarsi un vecchio pettine da telaio, abbandonato in qualche vecchia soffitta, le battecche sono rametti di frassino puliti e lasciati seccare. Si prepara, poi, un brodo di gallina, oppure per renderlo più leggero usate un pezzetto di gallina e un pezzo di muscolo di manzo. Il brodo deve bollire per un tre ore con sedano, carota, cipolla e un chiodo di garofano. Mentre il brodo va, si prepara il sughetto di rigaglie: tagliando a tocchetti piccolissimi le interiora di un pollo: fegato, cuore e maghetto (ventricoli). Le si rosolano, ben bene per una decina di minuti, in padella con una noce di burro e una foglia di salvia. Si sfumano con del vino bianco e si aggiunge un cucchiaio di passata di pomodoro. Si lascia andare per altri quindici venti minuti e poi si tiene il sughetto al caldo. Si filtra il brodo, lo si rifà prendere bollore e poi si tuffano dentro i maccaroncini che devono rimanere al dente, si impiattano lasciando che i commensali si servano del sughetto a piacimento (magari non tutti gradiscono, ma merita). Senza dimenticare una bella grattatugiata di parmigiano.
Ecco questo è un piatto della profonda tradizione dell'entroterra marchigiano. Questo è un piatto che rappresenta il concetto: "in campagna non si butta mai niente". Di più: questo è un piatto che nessuno fa quasi più, non l'ho mai trovato proposto in un ristorante, e come avete letto dal post precedente, da altri parti d'Italia non lo si conosce, così come lo si fa nella Marca Ancontena. Esiste però qualche cosa di simile, probabilmente delle dimensioni di una "penna", condito con sughi diversi, come molti di voi hanno segnalato. Ma il brodo no vero? L'esperimento era questo trovare qualche cosa di Tradizionale, la cui memoria si sta perdendo e metterlo in rete. Per farne cosa? Per renderlo immortale. Magari tra qualche giorno su google digitando "maccaroncini" lo "spider" metterà questo post tra i primi dieci risultati della ricerca. E magari è vero che internet è limitata al solo senso della vista ... ma nonna diceva "Cocco mio, si mangia anche con gli occhi".
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Ecco un'altra preparazione fatta con l'aiuto del pettine da telaio: i nacatuli della tradizione calabrese. (Copio e incollo) Foto, informazioni e ricetta dal Blog The green doctor, di Ginger di Pisa.
Le Nacatole o 'Nacatuli, sono dolci tipici della cucina tradizionale calabrese. Questi dolcetti venivano preparati in occasione delle feste natalizie o di matrimoni. Il nome è legato alla caratteristica forma del dolce stesso che ricorda la "naca" ovvero la culla.
Gli ingredienti sono semplici, farina, zucchero uova, strutto. Caratteristico è il profumo di anice di questi deliziosi dolcetti che si possono sposare perfettamente con un vino dolce come un passito o un Greco di Bianco. Il procedimento per la realizzazione di queste delizie è però piuttosto laborioso e prevede l'impiego di strumenti di una volta tipo il "telaio" o Pettine come lo chiamano le mie sie che serve a dare rugosità all'impasto per far aderire meglio lo zucchero.
Queste sono le Nacatole che le nie Ziette hanno preparato amorevolmente in occasione delle nozze di mio fratello.
Buon Appetito e Auguri agli Sposi!!!!!!!!!
I Nacatuli
Ingredienti (per una ventina di nacatole)
1kg. di farina,
600g. di zucchero,
10 uova,
2 cucchiai di strutto,
1 cucchiai liquore all’anice,
olio per friggere.
Sbattete le uova intere con lo zucchero. Unite l’anice e la farina a pioggia Mescolate questi ingredienti molto bene e lavorate l’impasto fino ad ottenere una pasta ben levigata e morbida. Ci potrebbe volere anche più farina. L’impasto è pronto quando affondandovi un dito dento vedete che la pasta non si appiccica ad esso.
Fatela riposare coperta da un panno per una mezz’oretta
Staccate un pezzo di impasto e filatelo come fossero dei maccheroni. Prendete un bastone (tipo un matterello non troppo grosso o una canna di bambù) e avvolgete la pasta filata attorno a questo dando la caratteristica forma (come in foto). Passatele sul "pettine" o Telaio.
Friggete in abbondante olio di semi di girasole bollente fino a che la nacatola non raggiunge una delicata
doratura, evitando di farla impregnare d’olio. Estraete le nacatole e fatele asciugare su carta assorbente. Ricopritele di zucchero a velo.
Potete anche dare altre forme: tipo ciambella o treccine.
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Ecco i cuiuraci di Silvia di Marina di Gioiosa Jonica (RC)
Gli ingredienti dei "cuiuraci", dolci tradizionali calabresi, natalizi sono:
un kg di farina(disposta a fontana),
400gr di zucchero,
4 uova,
100gr di burro,
una tazzina di anice,
garofano e cannella in polvere,
buccia d'arancia grattugiata.
Dopo aver amalgamato gli ingredienti,si formano dei bastoncini dal diametro di due cm circa e lunghi trenta o poco più.Ogni bastoncino verrà attorcigliato a sua volta per due giri attorno ad un bastoncino di legno(un mestolo dal dm di due cm circa),avendo cura di fissare bene le estremità, e quindi pressato sul pettine.La frittura dei cuiuraci deve avvenire in abbondante olio e a fuoco moderato.